Vidi questo film giusto alla fine dell’inverno 2018-2019, all’inizio di una stagione di lavoro che definire arida di frutti e soddisfazioni è oltre l’eufemismo. A volte l’unico modo di liberarsi di un incubo è raccontarlo; approfitto della disponibilità di questa platea invisibile per farlo, sperando di esorcizzare la sospensione di questo eterno tempo di mezzo. Anche perché la psicoterapia costa troppo.
Alle basse latitudini sono solo due, secca e umida; alle medie quattro, figlie di una Astronomia certa e di un Clima poco affidabile. Di una quinta stagione non si era mai sentito.
Nel villaggio di …… , nella campagna belga, l’inverno finisce in uno di quei riti universali di chiusura e riapertura: un grande falò che farà ardere dei grandi fantocci che rappresentano l’inverno e la sua sposa.
Addio, oncle l’Hiver, benvenuta alla primavera, il ciclo è sempre senza soluzione di continuità. Il che significa: tutto come sempre, senza strappi, senza variazioni. Così scontato così ripetitivo che nessuno interroga più nemmeno i segni: il fuoco non si accende, la legna non ne vuole sapere di ardere. Ed ecco che il meccanismo si arresta senza destare scalpore, ma in modo inesorabile: il cielo rimane grigio, i semi nei campi marciscono, gli animali nelle stalle muoiono, il sole non arriva più, i galli smettono di cantare.
Anche le arnie di Pol, l’apicoltore transumante e philosophe che intendeva iniziare da questo villaggio la sua stagione produttiva non contengono più api, i favi sono vuoti.
Mancano il sole e pure le piogge, cade solo una sorta di neve sporca, occasionale, anche quando il calendario direbbe estate. Le scorte di cibo scarseggiano, gli abitanti del villaggio attoniti assistono al loro deperimento, alternando forme di solidarietà ad atti di feroce crudeltà verso i più deboli, fino a cadere nella facile superstizione e farne dei capri espiatori. Non meraviglia che ad essere presi di mira siano le donne o gli stranieri, come l’apicoltore filosofo, reo di aver portato nel villaggio un pensiero illuminista e un figlio disabile.
La quinta stagione della non vita non morte non finisce con i titoli di coda e non serve grande spirito interpretativo per capire che gli autori vogliono raccontarci in modo crudo e spietato, con note di surrealismo magrittiano (siamo o non siamo belgi, enfin?) che la crisi ambientale una volta innescata non si riavvolge su sé stessa con l’happy ending. Continua, continua, continua…
Con la Cinquième saison Peter Brosens e Jessica Woodworth consolidano un percorso tematico dedicato all’ambiente scegliendo una chiave non documentaristica ma didascalica, una favola triste e sporca, narrata con grande sapienza nei tempi e nella fotografia: il racconto ci avvince e ci costringe ad arrivare sino in fondo.
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