Siamo arrivati circa a “metà del cammin” che ci separa all’inizio di stagione: un punto assai critico questo ed è lecito chiederci se abbiamo fatto un invernamento adeguato in termini di forza della famiglia e coibentazione. Se siamo dubbiosi abbiamo un po’ di spazio di manovra per cercare di salvare le nostre famiglie soprattutto per quanto riguarda la nutrizione: a breve le famiglie cominceranno ad allevare nuovamente covata e occorrerà molto cibo.
Nell’estate del 2018, inizia la mia esperienza di valutatrice di api regine. La cosa è andata così: mi sono state affidate delle regine selezionate di proprietà sconosciuta da osservare e valutare durante la stagione 2018 e la successiva.
L’apiario è stato costituito in modo da ridurre al minimo il fenomeno della deriva quindi con arnie distanziate e con diversi orientamenti degli ingressi. I nuclei in cui inserire le regine sono stati formati con pacchi d’ape di circa 2 kg, trattati con acido ossalico per avere colonie il più possibile pulite, a cui dare unicamente fogli cerei da costruire. La partenza non era proprio banale. La nutrizione è stata fondamentale e costantemente monitorata per dare modo alle famiglie di costruire i favi e svilupparsi. Si è giunti all’autunno con famiglia assai belle ma anche assai piccole.
La sfida vera e propria è stata superare l’inverno senza perdite: l’ effettiva valutazione si sarebbe effettuata durante la stagione 2019. Piccolo inciso: vivo a ridosso della Majella orientale e gli inverni qui sono solitamente piuttosto lunghi e rigidi.
In una serie di video, pubblicati su YouTube e riportati all’interno di questo articolo, mio padre ha documentato questa storia.
Il 10 ottobre 2018 ho ristretto al massimo le famiglie e tra tutte ho scelto la famiglia protagonista dei video e di questo articolo: la scelta è ricaduta su quella che ho ritenuto essere di un buon livello, ma non eccezionale. La colonia osservata, distribuita su tre telai, è stata collocata al centro dell’arnia con ai lati due diaframmi e due pannelli di polistirolo da 5 cm. Sarebbe stato meglio utilizzare quelli ad alta densità perché più difficile da rovinare da parte delle api. Sul coprifavo ho messo altro polistirolo e ho ricavato un vano per il nutritore.
Poiché l’alimentazione somministrata doveva essere riportata nella rilevazione dei dati ed essere uguale sia per tipologia che per quantità, ho utilizzato il contenitore in plastica del miele in favo perché contiene 400gr di candito: con questo espediente ho potuto fare a meno di portare la bilancia in apiario nel momento dello sporzionamento del candito. Sul nutritore ho messo un vecchio giornale per una ulteriore coibentazione. Le api dovevano essere ben nutrite e stare al caldo: non dovevano assolutamente morire né per fame né per freddo.
Con una cadenza grosso modo settimanale ho monitorato il consumo del candito e ho osservato il livello di attività della famiglia attraverso il movimento delle api nel nutritore .
In una calda giornata di novembre ho provveduto a togliere le strisce di apivar messe in precedenza.
Come da mio programma, nei mesi successivi, ho fatto anche trattamenti con l’acido ossalico sublimato, perchè se le api non potevano morire nè di fame, nè di freddo non potevano sicuramente morire di varroa!
L’abbondante nevicata di gennaio 2019 non è stata inaspettata e ovviamente mio padre è andato a controllare cosa succedeva alle api con una piccola sbirciatina: api attive.
Nonostante la neve, ho continuato a nutrire con costanza le famiglie. Non dimentichiamoci l’obiettivo da raggiungere: oltre alla mortalità zero, era necessario avere a primavera famiglie forti e in salute, in grado di andare in produzione.
Il primo controllo primaverile è stato effettuato ai primi di marzo e ho trovato la famiglia con una abbondante covata, pronta ad affrontare la stagione. Ma dalle mie parti la primavera stenta sempre a partire e può essere fedifraga! Ho comunque ritenuto opportuno dare spazio alla famiglia aggiungendo un foglio cereo. Molti, guardando il video, noteranno che l’inserimento del telaino non è da manuale: è stato messo come ultimo telaino e non, come di norma, in penultima posizione. La mia scelta è stata dettata dal fatto che temevo ritorni di freddo e che, sebbene fosse partita, la famiglia aveva ancora bisogno di un occhio di riguardo. Con il foglio cereo posizionato in questa maniera la famiglia si sarebbe occupata della sua costruzione soltanto se davvero ci fossero state le migliori condizioni per farlo. Sempre per il timore di bruschi ritorni di freddo ho lasciato tutto il materiale coibentante: dovevo evitare che la famiglia andasse in stress e che potessero sorgere patologie come la covata calcificata o addirittura la peste europea suscettibili ai bruschi sbalzi termici.
Per fortuna le condizioni climatiche sono state favorevoli e nel giro di pochi giorni ho potuto dare alla famiglia un altro telaio con foglio cereo, questa volta secondo le indicazioni dei manuali più accreditati.
La sorte ha continuato a stare dalla mia parte per cui la famiglia è cresciuta ancora in modo costante e ad aprile era su 6 telaini; la primavera sembrava ormai arrivata, anche se la Majella aveva ancora il cappuccio di neve (si vede nel video), per cui ho tolto il materiale coibentante all’interno dell’arnia.
Il protocollo della valutazione prevedeva come controllo sciamatura unicamente due possibilità: dare spazio ed eliminare le celle reali, quindi non era possibile alleggerire la famiglia togliendo telai. Tra le altre “regole del gioco” c’era che non era possibile integrare con api e/o covata le colonie che fossero rimaste indietro. Con questi margini operativi ho deciso di allargare ancora la famiglia posizionandola al centro dell’arnia tra due diaframmi e mettendo il melario, momentaneamente, senza escludiregina così da favorire il popolamento del melario. Nel giro di pochi giorni sarei tornata per aggiungere l’escludiregina.
A metà aprile la famiglia era ormai in produzione e non restava che verificare che il riempimento del melario procedesse senza troppi intoppi, naturalmente ho continuato a eliminare le celle reali.
In conclusione posso dire che questa modalità di conduzione è stata premiante per tutte le famiglie di questo apiario: sono andate tutte in produzione tranne una che è rimasta sempre ai blocchi di partenza. Le famiglie produttive hanno avuto delle performance davvero ottime da un minimo di due melari ad un massimo di quattro!
Sarà stato un caso? Sarà dipeso dalla genetica delle regine? Le condizioni ambientali sono state favorevoli? Ovviamente una risposta netta non sono in grado di darla perché sono troppe le variabili in gioco. La modalità di invernamento sicuramente ha avuto un ruolo importante anche alla luce delle osservazioni che Seeley fa nel suo libro “La vita delle api” nel quale sostiene che le nostre arnie razionali sono molto meno ospitali in termini di coibentazione e termoregolazione rispetto ai nidi scelti dalle api ( solitamente cavità degli alberi o anfratti nella roccia); se vi dovessero capitare fra le mani i numeri 8 e 9 del 2020 di L’apis potrete leggere di analoghe considerazioni. Sebbene sia stato un successo, questo tipo di invernamento con colonie così piccole è assai rischioso e abbastanza faticoso: richiede impegno e costanza anche in inverno, periodo di norma dedicato al riposo dell’apicoltore.
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