Nelle puntate precedenti:
Parte 1: si è fatta conoscenza degli impollinatori e delle piante angiosperme
Parte 2 : si è raccontato di come l’ambiente e l’evoluzione rendono gli insetti degli esseri viventi vincenti
Parte 3: si è andati alla scoperta dei parenti più prossimi delle api ovvero le vespe e delle abitudini alimentari alquanto discutibili di alcune loro larve… robe da finire in qualche girone infernale!
Non l’ape ma le api
Lungo i millenni, le api si sono adattate alla nutrizione tramite i fiori in diversi modi. Molte specie sono diventate pelose, facilitando l’attività di raccolta del polline dai fiori e di trasporto durante il volo. Nelle api tagliafoglie (appartenenti al genere Megachile), il polline si addensa tra la folta peluria che si trova sulla parte superiore dell’addome, così che il loro addome sembri di un giallo brillante. Sia nei bombi che nelle api da miele le setole rigide delle zampe posteriori — che von Frisch chiamava simpaticamente calzoncini — consentono di posizionare il polline, facendo sembrare che abbiano delle piccole ceste e da qui la definizione, un po’ fuoriviante, di cestelle del polline. Se un’ape visita un fiore per il polline ha senso che raccolga anche il nettare essendo un’importante fonte di sostentamento zuccherino durante il volo. La produzione del nettare è costosa per le piante e dunque molti fiori hanno sviluppato nel tempo la capacità di nascondere il nettare, assicurandosi che solo gli insetti più propensi al servizio di consegna del polline abbiano accesso. Molti insetti, oltre ad allungare il proprio corpo, hanno allungato la loro lingua così da semplificare il recupero del nettare nascosto all’interno del fiore.
Addirittura alcuni insetti hanno la lingua più lunga del loro corpo! È questo il caso del lepidottero Xanthopan morganii che ha una lingua lunga più di 30 cm, specializzata nel raccogliere il nettare che si trova all’interno dell’orchidea del Madagascar Angreacum sesquipedale, nota anche come orchidea di Darwin. Questo fiore ha una struttura lunga più di 30 cm ed è un magnifico esempio di coevoluzione tra fiori e insetti. Nel 1862 Darwin aveva censito questo fiore e aveva ipotizzato l’esistenza di un insetto capace di bottinarlo. Peccato che sia stato individuato solo nel 1903 ovvero 21 anni dopo la sua morte!
Le prime api, 130 milioni di anni fa, erano quasi certamente specie solitarie e la maggior parte delle api attuali sono rimaste tali. Ogni femmina costruisce il proprio nido, solitamente in una piccola cavità del terreno, o in un albero o in un muro.
Le api tagliafoglie costruiscono il nido foderandolo di pezzi semicircolari di foglie ordinatamente sistemati, incollati assieme dalla seta. Una volta che il nido è completo,la femmina lo riempie di nettare misto a polline e depone uno o più uova. I cicli vitali sono piuttosto variabili, ma di solito la femmina non accudisce ulteriormente la prole, semplicemente sigilla l’entrata del nido lasciando abbastanza cibo per il sostentamento e lo sviluppo delle larve. Molte delle api che vivono nei climi temperati hanno solo una generazione all’anno, così che la prole impiega undici mesi per svilupparsi ed emergere come adulto.
Gli esemplari delle specie di api solitarie tendono a essere piccoli, scuri o dai colori pallidi: questo è il motivo per cui le persone le individuano raramente. Tuttavia sono abbastanza comuni e spesso vivono nei giardini, talvolta nidificano nelle vecchie malte tra i mattoni delle nostre case. Sporadicamente le vite di queste creature poco appariscenti si incrociano con le nostre, tuttavia contribuiscono in maniera sostanziale all’impollinazione di molti raccolti senza che ne siamo consapevoli (le api mellifere, dobbiamo ammetterlo, spesso si prendono tutti i riconoscimenti).
Quindi, le prime api appaiono circa 130 milioni di anni fa e nel tempo sviluppano diversi stili di vita sociali; è curioso il fatto che i fossili di api sociali preistoriche siano senza pungiglione. Ma si sa: il pungiglione è un ovodepositore che non ce l’ha fatta e per questo ha cambiato mestiere!
Circa 65 milioni di anni dopo la prima comparsa delle api, la terra viene sconvolta da eventi catastrofici. La maggioranza degli scienziati odierni sostiene che una meteora si sia schiantata sulla Terra nel punto in cui oggi si trova la penisola dello Yucatan, causando maremoti ed eruzioni vulcaniche così importanti da riempire l’atmosfera di una tale quantità di polvere da bloccare la luce solare, facendo precipitare le temperature e provocando glaciazioni di lunga durata. La maggior parte delle forme di vita più grandi perirono rapidamente: i dinosauri ne sono l’esempio più lampante. Sorprendentemente, le forme di vita più piccole riuscirono a cavarsela. Così come molti fossili rivelano, i principali gruppi di insetti – formiche, api, cavallette, coleotteri e così via – sembrano aver popolato rapidamente la terra, nonostante innumerevoli di specie di insetti si siano estinte. Anche le piante con i fiori sono riuscite a sopravvivere, probabilmente grazie a semi dormienti. I nostri antenati – piccoli, pelosi e a sangue caldo – potrebbero essere sopravvissuti alimentandosi con i cadaveri dei grossi animali morti o immagazzinando semi e frutta secca, e probabilmente sono riusciti a rimanere al caldo sfruttando le grandi quantità di vegetazione in decomposizione determinata dalla morte delle foreste.
Così si arriva ai nostri giorni. Il mondo ha avuto la benedizione di una presenza in termini di diversità di specie di organismi straordinaria. Ma come è distribuita la biodiversità sulla terra? Per facilitare la comprensione di questa faccenda è di aiuto la metafora utilizzata dallo studioso Edward Wilson nel suo libro The diversity of life. Immaginiamo di essere a bordo di un ascensore in partenza dal centro della terra che viaggia alla velocità di una tranquilla passeggiata. Per le prime dodici settimane si viaggia attraverso la roccia bollente e il magma dove non c’è alcuna forma vita. Occorrono tre minuti per attraversare la superficie, dopo 500 metri di questo percorso si incontrano i primi organismi: batteri con una dieta a base di nutrienti ottenuti filtrando gli strati profondi delle falde acquifere. Attraversata la superficie, per dieci secondi si osserva un’esplosione di vita abbagliante, decine di migliaia di specie di microrganismi, piante e animali tutto contenuto all’interno di una linea sottile. Mezzo minuto più tardi è tutto passato. Due ore più tardi rimangono solo delle deboli tracce consistenti, per la maggior parte, di persone a bordo di aerei di linea il cui intestino è pieno di batteri.
Attualmente sono state censite 1,4 milioni di specie di organismi, ma si stima che il totale effettivo possa variare enormente tra i 2 milioni e i 100 milioni. Delle specie note 250 sono bombi.
Attenzione! Risale all’ottobre del 2021 la segnalazione, per la prima volta, della presenza del Bombus konradini nelle aree sommitali del massiccio della Maiella. Questa scoperta è importante dato che la Maiella è la località più meridionale fin ora conosciuta per questa specie che è inserita nella categoria “in pericolo” nella lista rossa delle api italiane minacciate.
Inoltre presenta un interessante parallelismo con il Camoscio appenninico con il quale condivide simili processi evolutivi e di speciazione: ha infatti raggiunto il più ampio areale di distribuzione durante le ere glaciali, mentre il riscaldamento avvenuto nelle fasi postglaciali lo ha relegato solo nelle aree a quote più elevate. Questo isolamento delle popolazioni ha generato processi di speciazione che lo hanno differenziato da altri bombi presenti in Europa.
Continuando a parlare di numeri, ci sono circa 25000 specie note di api. Le quali, a loro volta, appartengono all’immenso ordine degli Imenotteri che conta 115.000 specie note e che include anche formiche, vespe, con cui le api si sono evolute e i già citati bombi. Gli imenotteri comprendono, quindi, solo alcuni tipi di insetti e, con circa 1 milione di specie note, costituiscono circa il 70% delle specie note sulla terra.
Fino ad oggi, questo numero di specie è il più alto che si è mai avuto da quando la vita è presente. Purtroppo negli ultimi 200 anni è iniziato un rapido calo che coincide, guarda caso, al periodo in cui l’uomo ha modellato l’ambiente in funzione delle proprie esigenze. I nostri antenati si sono diffusi partendo dall’Africa , molti dei grandi mammiferi come i mammuth, i bradipi giganti e le tigri dai denti a sciabola sono spariti velocemente: si sono estinti sia a causa della caccia per mano dell’uomo sia perché le loro prede si sono estinte. Molti animali non hanno avuto scampo dalla caccia degli uomini che operavano in gruppi e armati di lance e frecce. Oggi le specie sono in estinzione con un tasso che è da 100 a 1000 volte superiore a quello naturale; la causa è da imputare alla distruzione degli habitat e alle devastazioni dovute alle specie invasive. Si stima che ogni venti minuti una specie vada incontro all’estinzione.
L’estinzione dei grandi mammiferi, come le tigri o i rinoceronti, catturano maggiormente l’attenzione pubblica , ma probabilmente la scomparsa delle creature più piccole ci deve lasciare sconcertati. Gli insetti sono responsabili della distribuzione di servizi per gli ecosistemi come l’impollinazione e la decomposizione e, non ci sono dubbi sul fatto che, in loro assenza la vita sulla terra non sia più possibile.
Tema per gli artisti: “il Fiore”
Luogo apiario: Lago d’Orta presso il parco Hotel Bocciolo***
La bibliografia utilizzata in questa serie di articoli è consultabile a questo link
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