VARROA: IL FENOMENO DELLA ‘DERIVA’ DELLE API E LA REINFESTAZIONE
PARTE TERZA DI QUATTRO
Libera traduzione da Randy Oliver, American Bee Journal, aprile e maggio 2018, vol.158, nn 4 e 5. ‘The varroa problem part 16 e 16b: Bee drift and mite dispersal’. Vedi introduzione.
Manipolazione del comportamento dell’ospite
Torniamo alle osservazioni di Kralji e Fuchs[1]: alcune api infestate da varroa si sacrificano, non tornano a casa; altre cercano di farlo, ma faticano ad orientarsi. Potrebbe essere la varroa stessa la causa di questa difficoltà?
E’ stato ben dimostrato come patogeni infettivi riescano a manipolare il comportamento degli ospiti a loro vantaggio[2]. Ad esempio, il virus della rabbia spinge gli ospiti ammalati a mordere, favorendo la diffusione del virus; i protozoi toxoplasma portano i topi ad essere attratti dall’urina dei gatti, un comportamento decisamente rischioso che ancora una volta favorisce diffusione del patogeno. Altri studi ci dicono che pure gli esseri umani tendono ad essere più socievoli – a cercare più contatti – quando colpiti da virus influenzali o sottoposti alla vaccinazione con i virus attenuati[3].
Molto educativa per noi apicoltori è la storia della coevoluzione tra virus della foglia gialla ricurva del pomodoro e i suoi vettori – afidi e farfalle bianche. Un rapporto simile quello varroa e DWV. Gli afidi e gli altri insetti che succhiano linfa sono normalmente più attratti dalle piante attaccate dal virus, perché il virus sopprime le difese immunitarie delle piante e quindi consente agli insetti di svilupparsi più facilmente (quanto fa il DWV: aumenta le capacità di varroa di riprodursi alle spese delle pupe infette). Quando però l’insetto stesso viene aggredito dal virus – e ne diviene vettore – è spinto a cibarsi della linfa di piante sane, portando così il virus a colonizzare nuovi ospiti. E per quanto riguarda i virus delle api? Alcuni replicano nel cervello delle api e quindi colpiscono direttamente capacità cognitive come quella dell’orientamento. Il DWV si replica nella parte del cervello responsabile di visione e olfatto e una sottospecie del DWV è stato accertato porta a cambiamenti nel comportamento difensivo delle api. Non sarebbe del tutto sorprendente se qualche virus modificasse il comportamento delle api verso una maggiore deriva.
Non escludo poi un lato oscuro delle api mellifere che ancora non ho visto al centro di indagine scientifica:
Competizione e uso di parassiti come arma
Mi è chiaro come l’uscita di api ammalate che non fanno più ritorno sia un vantaggio evolutivo per l’alveare. Ma osservo anche altro. Nei miei esperimenti sul campo diverse volte ho assistito come la malattia di un alveare si manifesti rapidamente anche in quelli vicini. A questo punto, lo attribuisco al fatto che le api malate entrino nell’alveare più prossimo, piuttosto che sacrificarsi e morire lontane dal nido. Forse non è del tutto un caso.
Pensiamo ad un apiario come ad una serie di insediamenti tribali di soldati sterili che proteggono il solo individuo fertile del loro lignaggio. Le tribù sono in competizioni fra loro per le risorse, cercano di evitare di trovarsi nelle stesse aree di raccolta, ma anche si dedicano al saccheggio alla minima occasione (e sempre di più in caso di carestie); la peggiore minaccia è ovviamente la fame dovuta alla carestia.
Ogni soldato ammalato cercherà di allontanarsi per il bene della sua tribù quando non è più in grado di proteggere il suo lignaggio (il genoma della sua colonia) a meno che non si spinga al punto di invadere una colonia diversa dalla sua per cercare lì la morte, portando con sé il patogeno di cui soffre. In questo modo ottiene due vantaggi: sottrae carica patogena alla sua colonia e la trasmette ad un’altra con cui è in competizione. In qualche modo quindi il gioco evoluzionistico ritrova un equilibrio o addirittura, la bilancia si sposta a vantaggio della colonia malata che ha successo nell’esportare il suo problema e caricarlo su di un’altra tribù. E’ un cavallo di Troia che appare come un gioco sporco, ma che può funzionare sul piano evolutivo. Un comportamento che può anche spiegare il senso di operaie guardiane designate a sorvegliare attentamente gli ingressi in casa.
Una vera sfida scientifica: mi chiedo a questo punto se le api non possano arrivare al punto di trasformare dei parassiti – le varroe – in armi non convenzionali? Pensiamoci, sarebbe un grande vantaggio evolutivo per una colonia che mostrasse dei tratti di ‘resistenza’ al parassita cercare di spingere tutte le colonie vicine, con cui compete, a doversi difendere dagli acari.
E allora, perché mai le colonie accettano api che non sono le loro?
Un breve ripasso di biologia: le femmine delle colonie di api dividono il loro lavoro secondo due caste morfologicamente distinte, una regina fertile e operaie la cui capacità riproduttiva è soppressa. Le operaie inoltre dividono il lavoro in ulteriori sottocaste distinte dalla fisiologia e/o dal comportamento. Alcuni anni fa tre importanti ricercatori nel campo etologico – Breed, Robinson e Page – hanno dimostrato che ci sono caste comportamentali DISTINTE di guardiane e soldati(militari). All’ingresso del nido pattugliano le più giovani guardie, mentre sono militari più anziani a pattugliare i favi; apparentemente inani, sono pronte ad entrare in azione al primo segnale di allarme lanciato da chi è di guardia (nel caso di intrusioni di soggetti estranei anche di grandi dimensioni possono spingerli fuori o pungere).
Sembra una banalità, ma mi soffermo su questo punto per consentire al lettore di distinguere tra il comportamento di chi fa la guardia (alla periferia dello sciame o all’ingresso della cavità che ospita l’alveare) e di chi invece si occupa della difesa e aggressione, la fanteria, i soldati, quelle api che ad esempio reagiscono con le punture in massa ad un disturbo (comportamento generalmente aborrito dall’apicoltore). Non è una distinzione da poco, poiché potremmo essere magari in grado di selezionare api con buona attitudine ad allevare guardiane senza per forza allevare militari aggressivi.
Ora, le api di guardia devono tenere a distanza potenziali saccheggiatrici o altri insetti (aethine, vespe, e altri) interessati al ricco e proteico pane d’api o alla covata. Avere efficienti guardiane è necessario anche per prevenire il ‘parassitismo sociale’, come quello praticato dalla mellifera capensis (una sottospecie africana che come suggerisce il nome, è insediata nella parte più meridionale del continente, a sud del Kalahari): regine straniere possono entrare in un altro alveare e iniziare a deporre diffondendo così la loro prole; similmente accade in questa sottospecie che uno sciame usurpatore possa spodestare la regina ‘in carica’ e insediarsi nel suo nido. Così come nelle società umane si arruolano forze di polizia per proteggersi dal furto di beni di valore, allo stesso modo la casta delle guardiane è di grandissima importanza per difendere nidi ricchi di miele da ladri e predatori.
Le guardiane divengono tali al raggiungimento delle due o tre settimane di vita. C’è una componente genetica collegata alla proporzione di guardiane presenti, nel numero e nella durata della loro attività.
Le guardiane riconoscono le api estranee all’alveare dall’odore e dal comportamento.
Il riconoscimento attraverso gli odori è divenuto più difficile – ed è ancora più discriminante – ora che le api hanno a che fare con le varroe. Uno studio italiano molto affascinante suggerisce che gli idrocarburi cuticolari che distinguono l’appartenenza ad una colonia mutano quando l’ape è parassitata. La presenza della varroa cambia cioè l’odore dell’ape. Lo studio ha evidenziato come l’attenzione delle guardiane aumenti in presenza di una ape ‘alla deriva’ che trasporti una varroa[4]
Non sarebbe opportuno selezionare questo tratto genetico?
Sembra semplice: l’alveare aumenta il numero delle guardiane ed è più sicuro… ma c’è un costo.
Prendiamo le sottospecie africane – o africanizzate; possono dedicarsi alla difesa piuttosto che alla raccolta perché le risorse alimentari sono nei climi caldi disponibili tutto l’anno. Nelle aree temperate … investire in difesa può pesare sullo sviluppo della colonia … quando le risorse sono limitate, pare che colonie troppo ‘militarizzate’ non riescano a concentrarsi bene sulla riproduzione. E quindi una minore aggressività può dare un vantaggio riproduttivo[5]
Le sottospecie europee contengono i costi della difesa aggiustando il numero delle guardiane all’interesse relativo dimostrato dagli altri soggetti in competizione per le risorse e cioè: sono piene di guardiane fino a quando non iniziano i flussi nettariferi e diminuisce complessivamente anche il saccheggio; l’attività di controllo agli ingressi cala al punto che non esiste quasi più rifiuto verso le intrusioni da altre colonie.
Butler e Free hanno notato che quando compaiono quelle api dai voletti incerti – tipici delle saccheggiatrici – le guardiane si pongono in allerta e molte più api sono fermate ai posti di blocco. I due ricercatori hanno anche osservato come la stessa ape (segnata e quindi riconoscibile) cambi ruolo dedicandosi ora alle mansioni di guardia, ora al raccolto e ora al saccheggio[6].
Chi si è soffermato ad osservare le uscite dalle arnie avrà senz’altro notato come le api straniere, le intruse, agiscano o in modo spavaldo oppure molto sottomesso garantendosi un passaggio ai ‘cancelli’ di entrata; non così per quelle che invece tentano fughe maldestre. Le guardie le bloccano e cercano di pungerle.
Se un’ape si introduce in un altro alveare e ci passa due o tre ore, l’odore che prende non la farà più distinguere dalle altre api e le guardiane non le daranno più noie.
Dato che le api che sbagliano casa sono facilmente bottinatrici intente al saccheggio, e/o api che possono portare parassiti, infezioni, patogeni, sono sorpreso dal fatto che anche una sola estranea venga ammessa in un alveare non suo. Ma lo vediamo spesso, a meno di condizioni di carestia: in presenza di flusso nettarifero le guardiane sono poche e non ci sono quasi controlli agli ingressi. Sospetto comunque che ciò sia dovuto all’innaturale raggruppamento di api negli apiari, piuttosto che all’atteggiamento positivo degli alveari nei confronti delle estranee.
A questo proposito, ho trovato due studi molto pertinenti.
In uno si osserva[7] come colonie di formiche aumentino la produzione di caste di guardiane se le ‘bottinatrici’ entrano in contatto con formiche di altre colonie. Similmente a quanto descritto da Butler[8]: se si introducono estranee dalle porticine di un alveare, in breve aumenta il numero delle guardiane in attività. Insomma, come già detto, gli arruolamenti sono fatti ‘in tempo reale’ in risposta ad emergenze come intrusione o saccheggio. Dall’altro lato, invece, Rittschof[9] ha trovato che colonie sottoposte a ripetuto disturbo siano meno inclini a produrre guardiane, come se ‘si abituassero’ ad essere infastidite. Ma forse è anche una semplice conseguenza della continua deriva che avviene per semplice confusione direzionale nell’apiario.
L’ultima domanda che mi pongo a questo proposito riguarda l’universale propensione degli apicoltori ad allevare api docili: non è forse che questo carattere diminuisca complessivamente la capacità dell’alveare di controllare le (pericolose) intrusioni di api estranee?
continua e finisce con la parte quarta
[1] Kralj, J. & Fuchs, S. 2006 Parasitic Varroa destructor mites influence flight duration and homing ability of infested Apis mellifera foragers. Apidologie 37: 577–587
[2] Poulin, R (2010) Parasite manipulation of host behavior: an update and frequently asked questions. In H. Jane Rockmann, editor: Advances in the Study of Behavior, Vol. 41, Burlington: Academic Press.
[3] Reiber, C, et al (2010) Change in human social behavior in response to a common vaccine. Annals of Epidemiology 20(10): 729–733.
[4]Cappa, F, et al (2016) Bee guards detect foreign foragers with cuticular chemical profiles altered by phoretic varroa mites, Journal of Apicultural Research 55(3): 268-277.
[5] Rivera-Marchand, B, et al (2008) The cost of defense in social insects: insights from the honey bee. Entomologia Experimentalis et Applicata 129: 1–10.
[6] Butler CG, Free JB (1952) The behaviour of worker honeybees at the hive entrance. Behaviour 4:262–292.
[7] Passera, L, et al(1996) Increased soldier production in ant colonies exposed to intraspecific competition. Nature, 379, 630-631.
[8] Butler CB, Free JB (1952), op. cit.
[9]Rittschof, CC & GE Robinson (2013) Manipulation of colony environment modulates honey bee aggression and brain gene expression. Genes, Brain, and Behavior 12(8): 802–811.
0 Comments